Il DINIEGO DI RINNOVO ALLA PRIMA SCADENZA NEI CONTRATTI DI LOCAZIONE

Pubblicato da il 8 gennaio, 2019

L’eccessiva durata dei contratti di locazione rende quanto mai attuale tale istituto giuridico che consente al locatore di interrompere il proseguimento del rapporto dopo una prima durata obbligatoria, in presenza di particolari esigenze.
Si ricorda infatti che le nuove locazioni ad uso abitativo disciplinate dalla legge 431/98 hanno una durata iniziale di quattro anni con protrazione automatica per un eguale periodo (quelli a “canone libero”) ovvero di tre anni con prosieguo per altri due (quelli a “canone concordato”).
Per gli “usi diversi da quelli abitativi”, invece, la durata iniziale è di sei anni ed è prevista l’automatica prosecuzione per un uguale ulteriore periodo.
Per attenuare gli effetti negativi di tale durata il legislatore consente ai locatori di NEGARE la continuazione della locazione per il secondo periodo qualora ricorrono particolari ragioni tassativamente previste.

LA DISDETTA MOTIVATA
Per poter attivare il giudizio per la cessazione anticipata della locazione è necessario preavvertire il conduttore di tale intenzione con disdetta che deve, a pena di nullità, indicare i motivi che si intendono invocare a sostegno della domanda giudiziaria e, trattandosi di un atto negoziale recettizio, produce effetti allorquando giunge a conoscenza del conduttore. Per i “nuovi contratti” abitativi, disciplinati dalla legge 431/98 il preavviso deve pervenire almeno sei mesi prima della scadenza del primo periodo contrattuale. Non è prevista una tassativa forma della disdetta ma è opportuno comunicarla a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ai fini della prova della conoscenza da parte del destinatario il cui onere fa carico al locatore. Per le locazioni “ad uso diverso da quello abitativo” la volontà di diniego deve, invece, pervenire almeno 12 mesi prima della prima scadenza del contratto.
parte della giurisprudenza ritiene che, contrariamente a quanto previsto per le intimazioni di sfratto o licenza per finita locazione, la disdetta-diniego di proroga non possa essere contenuta nel ricorso con il quale si inizia il giudizio per cui e’ prudente inviarla prima in sede stragiudiziale.

I MOTIVI PER NEGARE LA PROROGA
Per le locazioni “ad uso diverso da quello abitativo” le ragioni del diniego sono elencate nell’art. 29 della legge n. 392/78.
Per gli “usi abitativi” l’art. 3 della legge n. 431/98 introduce alcune categorie di motivi per poter far cessare le nuove locazioni alla prima scadenza.
In aggiunta a quelli tradizionali già previsti dall’art. 59 e 29, L. n. 392/1978, richiamati anche nel numero 2 dell’art. 11, L. n. 359/1992 (cosiddetta legge sui patti in deroga), è stata anche data la possibilità di negare la proroga qualora il locatore debba vendere l’immobile a terzi.
In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di «prelazione», istituto che, per la prima volta, fa la sua apparizione negli usi abitativi.

  1. L’esigenza di utilizzazione personale dell’immobile locato
    La lettera a) dell’art. 3, L. n. 431/1998 concede al locatore la facoltà di diniego di rinnovo allorquando egli «intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado».Sono quindi tassativamente indicati i soggetti che, oltre al locatore, possono essere beneficiari della risoluzione anticipata.
    È da evidenziare che l’elencazione è stata estesa genericamente a tutti i parenti entro il secondo grado.L’esigenza di utilizzazione dell’immobile può essere quindi invocata anche in favore dei collaterali entro il secondo grado (germani e loro figli), mentre prima era limitata esclusivamente ai parenti in linea retta entro il secondo grado. Nell’ambito poi di tali «esigenze» possono rientrare una serie di casi già elaborati dalla passata giurisprudenza.
  2. L’esigenza di utilizzare l’immobile ad uso abitativo
    – La Corte di Cassazione ha sempre ritenuto che, escludendo l’ipotesi di convivenza artatamente predisposta, la coabitazione tra congiunti (ed a maggior ragione tra nuclei familiari estranei) che non siano tenuti a vivere sotto lo stesso tetto, nonché del figlio maggiorenne, specie se economicamente indipendente, con il nucleo familiare di origine, comportando un oggettivo reciproco disagio ed un indubbia restrizione della libertà personale, costituisce un’ipotesi che giustifica oggettivamente l’esigenza di porvi fine senza che occorra provare la difficoltà dei rapporti tra i coabitanti (Cass., n. 2056 del 26 febbraio 1988; Cass., n. 4443 del 20 agosto 1985; Cass., n. 21 del 5 gennaio 1985, ecc.).
    – L’esigenza del locatore o beneficiario di convolare a giuste nozze è degna di tutela allorquando vengano forniti elementi seri di fidanzamento in atto indipendentemente dall’atto formale delle pubblicazioni (Cass., n. 5149 del 17 settembre 1981; Cass. sent. n. 7135 del 29 novembre 1983).
    – L’insufficienza dell’alloggio attualmente occupato dal locatore e dal beneficiario è motivo per ottenere la disponibilità di una unità abitativa più ampia o più idonea. E’ inoltre parimenti legittima l’esigenza dei genitori, vecchi ed ammalati, di avvicinarsi ai figli per essere meglio accuditi (Cass., n. 4986 del 6 ottobre 1984; Cass., n. 5835 del 23 novembre 1985; Cass., n. 8181 del 23 novembre 1987).
    – Poiché l’art. 16 della Costituzione Italiana tutela il diritto del cittadino a circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, non può essere disattesa la richiesta del locatore di trasferirsi da un’altra città in quella in cui è situato l’immobile oggetto dello sfratto, senza dover particolarmente giustificare la propria decisione (Cass., n. 4843 del 14 luglio 1983), e stesso orientamento per l’emigrato che voglia ritornare in patria dall’estero (Cass., n. 6752 del 6 agosto 1987 e Cass., n. 4969 del 18 luglio 1983).
    – Il soggetto che occupa un alloggio di terzi a titolo di comodato può invocare lo stato di necessità per rientrare nella disponibilità del proprio immobile qualora assicura di dover restituire quello detenuto a titolo di comodato al proprietario che ne abbia fatto richiesta (Cass., n. 2130 del 6 aprile 1982; Cass., n. 4668 del 22 agosto 1984).
    – La differenza tra canone pagato per un appartamento in fitto e canone percepito dal conduttore sfrattando costituisce poi motivo di necessità se tale differenza incida sulle condizioni economiche del locatore (Cass., n. 777 del 7 febbraio 1986; Cass. sent. n. 3399 del 9 maggio 1988; trib. Napoli 9 luglio 1996 n. 31397).
    – Il soggetto inquilino sottoposto ad azione di risoluzione della locazione può ben invocare l’esigenza di riottenere un immobile di cui sia a sua volta locatore.
  3. L’utilizzazione dell’immobile ad uso commerciale, artigianale o professionale
    È normalmente ritenuto che l’immobile richiesto debba essere idoneo a soddisfare le esigenze dedotte, pur essendo ammesso che sia il locatore a dover valutare «le concrete possibilità di utilizzazione dei locali di cui si richiede il rilascio e la convenienza delle opere da eseguirsi per renderli adatti all’uso previsto» (Cass., n. 6221 del 29 novembre 1984), per cui la legittimità del recesso può essere esclusa soltanto allorquando vi sia impossibilità assoluta di sfruttamento dell’immobile richiesto per l’indicata destinazione (Cass., n. 2517 del 10 aprile 1986) o vi sia una preclusione inderogabile discendente dalla vigente normativa urbanistica di mutare l’attuale destinazione abitativa dell’immobile di cui si chiede il rilascio anticipato (Cass., n. 4295 del 9 maggio 1997).Per il resto, le ipotesi di «attività» da svolgere possono essere le più disparate e, se trattasi di un’attività commerciale, non è neanche necessario che il locatore dimostri il possesso delle autorizzazioni amministrative richieste per il suo svolgimento (Cass., n. 4873 del 16 dicembre 1989), anche se il magistrato deve comunque indagare sulla credibilità oggettiva di quanto addotto dal locatore in relazione all’eventuale prova contraria fornita dal conduttore (Cass. sent. n. 3195 del 24 maggio 1984).
  4. La disponibilità del conduttore di altro alloggio
    La risoluzione anticipata può essere richiesta qualora si provi che il conduttore dispone di un altro alloggio che si trovi nello stesso comune e sia libero.
    Tale immobile dev’essere anche idoneo e l’idoneità deve essere valutata in relazione all’esigenza di consentire all’inquilino ed al di lui nucleo familiare un’adeguata sistemazione, tenuto conto delle normali esigenze del nucleo familiare medesimo senza che debba necessariamente essere effettuata una comparazione tra i due alloggi (Cass., n. 4153 del 17 ottobre 1989), restando estranea ogni considerazione di stretta corrispondenza della superficie dell’alloggio goduto e di quello offerto e dei relativi agi (Cass., n. 3153 del 23 marzo 1991).Nel concetto di disponibilità di altro alloggio riteniamo possa rientrare anche l’ipotesi in cui venga prospettata dal locatore una sistemazione abitativa alternativa mediante l’offerta in locazione al conduttore di un immobile sito nello stesso comune ed idoneo, idoneità che va valutata anche in relazione all’aspetto economico del nuovo rapporto locativo.Tale interpretazione si è affermata in sede di priorità ex art. 2, L. n. 61/1989 e non sembra che vi siano ostacoli ad estenderla anche alla norma in esame.
  5. La ricostruzione dell’edificio e la ristrutturazione dell’immobile
    Le lettere d) ed e) dell’art. 3 della L. n. 431/1998 estendono la possibilità di negare la proroga anche nei casi in cui l’unità immobiliare locata si trovi in un edificio gravemente danneggiato per cui debba essere ricostruito o debbano effettuarsi indispensabili lavori per assicurarne la stabilità, quando l’immobile si trovi in uno stabile del quale è prevista l’integrale ristrutturazione o debba essere demolito per realizzare nuove costruzioni ovvero, infine, quando trattandosi di appartamento all’ultimo piano, il proprietario intenda eseguire su di esso sopraelevazioni.
    In tutti i suddetti casi è necessario che i lavori non possano essere eseguiti con la presenza del locatario ed è sancito a pena d’improcedibilità dell’azione di diniego di proroga che il locatore abbia ottenuto dall’ente competente la concessione o l’autorizzazione edilizia.Ultimati i lavori, qualora il proprietario intenda nuovamente immettere l’unità immobiliare nel mercato locativo, la deve offrire all’ex conduttore il quale ha diritto di prelazione a parità di condizioni.
    Per ottemperare a tale onere il locatore, ai sensi del richiamato art. 40, L. n. 392 del 27 luglio 1978, deve comunicare all’ex conduttore, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, le offerte avute da terzi. Costui ha diritto di essere preferito se, a sua volta, con lo stesso mezzo (racc.ta a/r) offra condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore.
    Il mancato adempimento a tale obbligo non comporta sanzioni di natura reale (non è prevista l’instaurazione coatta del rapporto locativo), ma solo l’eventuale risarcimento danni.
  6. Il mancato utilizzo dell’immobile da parte dell’inquilino
    Ricorre tale ipotesi qualora il conduttore abbia stabilito altrove la propria abitazione e non occupi con continuità quella oggetto della locazione.
    La mancata utilizzazione deve essere ingiustificata e deve essere provata dal locatore che la invochi.Tale prova può essere desunta anche da elementi presuntivi quali quelli della residenza anagrafica in altra abitazione o dalla sussistenza di un titolo giustificativo del legittimo godimento della medesima (Cass., n. 1955 del 6 aprile 1981). Sotto tale aspetto è da escludersi che si possa ritenere la «mancata occupazione» qualora il conduttore si trasferisca temporaneamente in altra città od all’estero per svolgervi un lavoro temporaneo o un corso di specializzazione, ovvero allorquando la nuova abitazione è stata presa per meglio soddisfare le esigenze di tutto il nucleo familiare legittimamente convivente con il conduttore.
  7. L’esigenza di vendere a terzi l’immobile locato
    È l’ultimo motivo di diniego di proroga introdotto dalla nuova legge e costituisce una novità assoluta che ha creato equivoci tra molti addetti ai lavori che hanno erroneamente ritenuto che fosse stato introdotto l’obbligo della prelazione nelle locazioni ad uso abitativo.
    In base alla lettera g) dell’art. 3 è concessa al locatore la facoltà di risolvere anticipatamente il rapporto locativo qualora intenda alienare a terzi l’immobile.
    Tale diritto spetta solo se il locatore non abbia altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione.
    Trattasi di diritto di prelazione con efficacia reale.
    Infatti, in forza dell’applicabilità dei richiamati artt. 38 e 39, L. n. 392 del 27 luglio 1978, il locatore che vuole usufruire delle suddette facoltà, deve dare comunicazione al conduttore della sua intenzione di vendere con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario e tale forma, dopo un oscillante orientamento giurisprudenziale, è stata ritenuta essenziale dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 5357 del 4 dicembre 1989.
    La comunicazione, come contenuto minimo, deve indicare il corrispettivo richiesto, da quantificarsi in ogni caso in denaro; le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa; l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.
    Se la denuntiatio è priva delle indicazioni necessarie è inefficace «anche se risulti che il conduttore era a conoscenza dell’intenzione a vendere del locatore» (Cass., n. 11696 del 27 ottobre 1992) e non è richiesto che «sia trasmessa al conduttore copia dell’eventuale preliminare concluso con terzi e neanche le generalità ed il nominativo degli stessi».
    Ricevuta la «comunicazione», il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni, parimenti con atto notificato al locatore a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli e provvedere al pagamento del prezzo nei successivi trenta giorni.
    Qualora il proprietario non provveda a notificare la denuntiatio o il corrispettivo indicato sia diverso da quello riportato nel successivo atto notarile l’avente diritto a prelazione può riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.

LA PROCEDURA PER IL GIUDIZIO DI “DINIEGO DI PROROGA”
il nuovo codice di procedura civile ha apportato notevoli novità per le controversie in materia di rapporti locativi.
la competenza a trattare in primo grado le relative cause in via ordinaria, prima divisa tra pretura e tribunale in relazione al valore delle stesse da determinarsi in base ai criteri previsti dall’art. 12 c.p.c., fu attribuita (comma 3° dell’art. 8 c.p.c.) in via esclusiva al pretore del luogo ove è situato l’immobile, oggi sostituito dal giudice unico del tribunale competente. le pattuizioni che derogassero a tale competenza sono nulle ai sensi del 2° comma dell’art. 447 bis c.p.c.
il comma 4° dell’art. 3 espressamente dispone che per le “procedure di diniego” si applica l’art. 30 della legge 392/78. l’azione è assoggettata, giusta quanto previsto dall’art. 447 bis c.p.c., al «rito del lavoro» di cui agli artt. 414 e segg. c.p.c..
la domanda introduttiva dovrà quindi essere proposta con ricorso, in cui vanno articolati i mezzi istruttori, da depositarsi nella cancelleria del giudice competente unitamente alla documentazione probatoria.
il giudice fisserà l’udienza di comparizione delle parti e di discussione della causa. e’ onere della parte ricorrente notificare all’altra parte copia del ricorso e del decreto di comparizione, almeno trenta giorni prima dell’udienza stabilita.
il «convenuto-resistente» dovrà a sua volta costituirsi in cancelleria almeno dieci giorni prima della suddetta udienza depositando memoria difensiva, nella quale devono essere proposte eventuali domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e proporre i mezzi di prova di cui intende avvalersi. la costituzione oltre tale termine determinerà la decadenza dalla possibilità di richiedere mezzi istruttori a propria difesa.
il dispositivo e la successiva sentenza di condanna che il giudice emetterà a completamento dell’eventuale attività istruttoria sono, ai sensi dell’art. 447 bis, 4° comma, esecutive.
e’ in facoltà del giudice d’appello, su richiesta dell’appellante, disporre, con ordinanza non impugnabile, che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza di primo grado, siano sospese, quando dalle stesse possa derivare alla parte soccombente «gravissimo danno».
si ricorda che il giudice designato, alla prima udienza deve, se il convenuto compare e non si oppone, pronunziare ordinanza di rilascio che costituisce titolo esecutivo ed esaurisce il giudizio (comma 4° e 5° dell’art. 30). il giudice medesimo, ai sensi dell’ottavo comma del medesimo art. 30, può disporre il rilascio dell’immobile con ordinanza costituente titolo esecutivo e, quindi, proseguire il giudizio.

I REQUISITI DELLA “INTENZIONE”
Come già evidenziato l’art. 3 della legge n. 431/98, sulla falsariga di quanto previsto dalla disciplina delle locazioni “ad uso diverso da quello abitativo” e di quanto già sancito per “i patti in deroga”, abolendo il concetto di necessità, richiesto per le risoluzioni anticipate ex art. 59 legge 392/78, consente al locatore di escludere alla prima scadenza la rinnovazione del contratto di locazione semplicemente evidenziando l’intenzione di servirsi dell’immobile di cui si chiede il rilascio per uno degli scopi tassativamente previsti dalla legge. Non è richiesto, quindi, una particolare attività istruttoria quantunque si ritenga che l’intenzione debba comunque avere i requisiti della serietà e realizzabilità (cass. n. 11734 del 28 ottobre 1998) che il giudice dovrà valutare in base ai documenti ed agli elementi offerti dal locatore (cass. n. 204 del 14.1.1988). In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza l’intenzione di destinare l’immobile ad uno degli usi previsti non concreta una cessazione del rapporto “ad libitum” del locatore, ma deve esprimere un intento serio, cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente (cass. 3° sez. civ. n. 9550 del 12.11.1994) . In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo il locatore che agisce per far valere la facoltà del diniego di proroga alla prima scadenza, ha l’onere di provare la serieta’ dell’intenzione dedotta (cass. 3° sez. civ. n. 9550 del 12.11.1994). In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza, l’intenzione di destinare l’immobile a propria attività professionale, deve esprimere un intento serio, cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente (cass. 3° sez. civ. n. 358 del 14.1.2000).

LE SANZIONI A CARICO DEL LOCATORE PER NON AVER ADIBITO L’IMMOBILE ALL’USO DICHIARATO
L’art. 31 della legge 392/78, in tema di locazioni ad “uso diverso”, prevede che il locatore che abbia ottenuto il rilascio anticipato dell’immobile per uno dei motivi di cui all’art. 29 e non lo adibisca entro sei mesi all’uso dichiarato, è tenuto, se il conduttore lo richiede, al ripristino del contratto (naturalmente per il periodo residuale), al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati ovvero al risarcimento dei danni in misura non superiore alle quarantotto mensilità del canone di locazione percepito.
L’art. 3 della legge 431/98 sancisce il ripristino del rapporto locativo ovvero il risarcimento da determinarsi in misura non inferiore a trentasei mensilità dell’ultimo canone di locazione percepito, nel caso in cui il locatore medesimo, avendo acquistato la disponibilità dell’alloggio anche con procedura giudiziaria, non lo adibisca agli usi per i quali ha esercitato la disdetta entro dodici mesi .Non è necessario, quindi, che il rilascio sia conseguente ad azione giudiziaria perché la sanzione scatta anche in caso di rilascio spontaneo sia pure conseguente al diniego di proroga per cui la sanzione medesima presuppone esclusivamente l’aver ottenuto la disponibilità dell’immobile “comunque conseguita” (cass. 3° sez. civ. n. 6600 del 14 luglio 1994).
Può però accadere che le esigenze evidenziate dal locatore vengano successivamente meno per ragioni indipendenti dalla sua volontà, ovvero che lo stesso non possa, per motivi di forza maggiore, rispettare i tempi imposti dalla legge per procedere all’utilizzazione dell’immobile.
I casi possono essere svariati : il locatore aveva l’esigenza di vivere in una determinata città ma è stato successivamente assunto per lavorare altrove; è stato richiesto il rilascio dell’immobile in vista di un matrimonio che non può più essere celebrato per rottura del fidanzamento, etc.
In tali ipotesi poiché l’applicazione delle sanzioni previste non è connessa ad un concetto di responsabilità oggettiva o ad una presunzione assoluta di colpa, il locatore può evitarle provando che l’utilizzo tempestivo dell’immobile rilasciato o il mancato utilizzo, è stato ritardato o impedito da caso fortuito, motivi di forza maggiore o comunque da altra giusta causa. L’inutile decorso del termine (previsto dalla legge) per la destinazione dell’immobile all’uso in relazione al quale aveva agito per ottenere il rilascio per propria esigenza non costituisce di per se una situazione oggettiva di inadempienza con la conseguenza automatica dell’operatività delle sanzioni civili previste ma consente la valutazione di cause esimenti, quali il caso fortuito, la forza maggiore ovvero altre giuste cause idonee ad escludere l’imputabilità del ritardo a “dolo o colpa” (cass. n. 845 del 25 gennaio 1995).
Le sanzioni del ripristino del contratto locativo e del risarcimento del danno a favore del conduttore, poste a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l’immobile all’uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilità in forza di un provvedimento di rilascio, non sono applicabili ove la mancata destinazione dell’immobile sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni e situazioni meritevoli di tutela, non riconducibili ad un comportamento doloso o colposo del locatore (cass. sent. n. 6473 dell’8 giugno 1995) .
Le sanzioni che il legislatore pone a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l’immobile all’uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilità, configurano una forma di responsabilità per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 cod. civ., con la conseguenza che esse non sono applicabili qualora la tardiva (o mancata) destinazione dell’immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso (cass. 3° sez. civ. n. 6242 del 18 maggio 2000).