IN CASO DI “INERZIA” STOP ALL’ASSEGNO AI FIGLI MAGGIORENNI

Pubblicato da il 10 novembre, 2017

Autosufficienza economica o colpevole inerzia nel raggiungerla. I presupposti che fanno scattare lo stop all’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne si collocano, per certi versi, agli antipodi. Ma è il genitore obbligato al mensile a dover fornire la prova che il ragazzo goda di un reddito sufficiente a provvedere alle proprie esigenze o che sia, di fatto, disinteressato a rendersi indipendente. Sono queste le indicazioni che arrivano dalla giurisprudenza più recente – di legittimità e di merito – in tema di assegno di mantenimento ai figli maggiorenni.

Niente limite di età

Non esiste, dunque, una linea univoca nell’individuare una soglia di età precisa, superata la quale il figlio perde il diritto al sostentamento, né il compimento dei 18 anni marca un limite, come evidenziava già la Cassazione negli anni 50 (sentenza 295/1952). E se il tribunale di Milano individua a 34 anni la soglia dell’età oltre la quale lo stato di disoccupazione – in base alle statistiche ufficiali – è ingiustificato, altri giudici si discostano da questa interpretazione.

La sorte dell’assegno per i figli adulti, si gioca, quindi, tutta sul piano probatorio. In effetti, se è vero che ci sono ragazzi che abusano del loro diritto e non si attivano per diventare autonomi, altri sono ostacolati dalle oggettive difficoltà di un contesto lavorativo che punta al rialzo, per titoli o specializzazioni. Devono essere i giudici a valutare caso per caso se il reddito del figlio può dirsi sufficiente a far cessare il mensile, se un impiego si può ritenere stabile o se la mancata indipendenza sia dovuta a colpa o negligenza del figlio.

Le situazioni possibili

Il ventaglio dei casi è ampio, ma la giurisprudenza è piuttosto conforme nel ribadire che l’obbligo di mantenere i figli perdura finché non se ne dimostri l’autosufficienza o una colpevole inerzia. Così, l’assegno è stato confermato per il maggiorenne che ha ottenuto la laurea triennale, intenzionato a proseguire gli studi (Cassazione, sentenza 10207/2017), per l’apprendista privo di entrate sufficienti (Corte d’appello di Roma, sentenza 6080/2016) o per il ragazzo che svolga lavori saltuari o “a chiamata”, perciò precari.

Di converso, i giudici hanno negato il mensile al quarantenne che non studia né lavora (Tribunale di Napoli, sentenza 3545/2017), ribadendo come l’obbligo di mantenimento cessi per raggiunta indipendenza, percezione di reddito corrispondente alla professionalità acquisita o quando, pur disponendo delle concrete condizioni per ottenere l’autonomia, non se ne sia tratto un utile profitto, per colpa o per scelta (Cassazione, ordinanza 7168/2016).

Inoltre, per la Cassazione, l’obbligo di mantenimento venuto meno perché i figli hanno iniziato a lavorare non rivive in caso di licenziamento (Cassazione, sentenza 12063/2017), perché è stata dimostrata la loro idoneità all’impiego (Corte di cassazione, ordinanza 6509/2017).

Non solo. In alcuni casi i giudici vestono un ruolo quasi educativo. Come è successo alla Corte d’appello di Trieste che, con il decreto 173/2017, ha, da un lato, bacchettato l’inerzia della figlia, non abbastanza dedita allo studio, ma, dall’altro, si è limitata a ridimensionare il mensile, per sollecitare l’impegno della giovane nel «dimostrare al padre la propria volontà evolutiva verso la totale maturazione della personalità».

I profili probatori

In sintesi, il genitore onerato al mantenimento, per liberarsi dal vincolo, deve dimostrare al giudice che il figlio, pur avendo gli strumenti per raggiungere l’indipendenza, si sia sottratto volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata alla professionalità acquisita o, essendo da molti anni fuori corso, abbia dimostrato totale negligenza e disinteresse nel proseguire gli studi universitari. Cassazione, sentenza 1858/2016